La spesa ecosostenibile: ecco cosa devi sapere per essere un consumatore consapevole!

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Fare la spesa in maniera ecosostenibile è una responsabilità che ognuno di noi dovrebbe assumersi. Il modo in cui facciamo la spesa infatti può letteralmente cambiare il mondo (in meglio o in peggio).

Ogni alimento in commercio contribuisce all’emissione di gas serra, associati alla produzione, al trasporto, alla trasformazione o all’immagazzinamento.

Quando poi arriva in discarica, si decompone rilasciando metano, un gas che ha un grande impatto ambientale, 25 volte superiore a quello dell’anidride carbonica.

La prima regola per avere un atteggiamento ecosostenibile quando si fa la spesa è di comprare solo ciò che è strettamente necessario per garantire il nostro fabbisogno nutritivo, evitando gli sprechi. Se si compra o si mangia più del necessario danneggiamo il pianeta.

Spesa Ecosostenibile: Come si fa a ridurre gli sprechi?

Innanzitutto è bene pianificare i pasti e comprare solo ciò di cui si ha bisogno, e solo dopo aver controllato che nella dispensa e nel frigorifero non ci siano già altri cibi: gli avanzi possono essere utilizzati il giorno dopo.

Se si possiede un giardino o un grande terrazzo si potrebbe valutare la possibilità di utilizzare gli avanzi come compost.

Spesa ecosostenibile: Mangiare meno, per stare meglio

Anche mangiare troppo può contribuire a compromettere l’ambiente. Quindi si può concorrere a ridurre l’inquinamento ambientale… mantenendo la linea, questa è la conclusione di un curioso studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica The Lancet.

Gli autori hanno messo a confronto la popolazione normopeso, sovrappeso e obesa e hanno osservato che

“chi è obeso consuma circa il 20% in più di energia derivante dal cibo, con conseguente maggiore consumo di carburanti a base di petrolio utilizzati per la produzione degli alimenti. Inoltre chi è obeso tende a camminare meno e a utilizzare maggiormente la propria auto, contribuendo quindi in maggior misura al consumo di petrolio.

Mangiare meno e spostarsi con i mezzi pubblici, a piedi o in bicicletta, può ridurre perciò la domanda globale di petrolio.

Il peso forma diventa quindi ecocompatibile!

Spesa Ecosostenibile: consigli utili

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Tornando alla nostra spesa è opportuno ricordare che gli alimenti, in particolare frutta e ortaggi, di stagione e di produzione locale forniscono numerosi vantaggi. I prodotti stagionali non solo sono generalmente più buoni perché maturano nelle condizioni climatiche ottimali, ma sono anche più economici. I cosiddetti prodotti a chilometro zero arrivano sulle nostre tavole più freschi e non contribuiscono troppo all’inquinamento ambientale dovuto al trasporto. Consumare prodotti locali è anche un sistema ottimale per sostenere i produttori di prossimità, spesso in difficoltà perché penalizzati dalle catene della grande distribuzione.

Resta sempre valido il consiglio di consumare verdura surgelata (qui il post che parla dei pro e i contro dei surgelati), nel caso mancasse il tempo materiale di “organizzarsi” per una spesa giornaliera

Ecologici o inquinanti: ci vuole misura!

Cereali

L’aumento della domanda di cibo, indipendentemente dai modelli alimentari scelti, riguarda sia l’apporto energetico che deriverà prevalentemente dai cereali, che quello proteico da carne, uova, latte e proteine vegetali.

La produzione annuale di cereali dovrà aumentare da 2,1 a 3 miliardi di tonnellate; quella di carne dovrebbe più che raddoppiare.

La coltivazione e il consumo dei cereali risalgono a circa 10 mila anni fa, sono stati infatti l’alimento fondamentale di molte civiltà del passato per migliaia di anni – già nel Paleolitico l’uomo ancora nomade raccoglieva e conservava i cereali spontanei – e continueranno a esserlo anche nel futuro, per il quale rimarranno una scelta necessaria e sostenibile.

A questo alimento è legata l’evoluzione della specie umana, in particolare all’amido, la tipologia di carboidrato presente nei cereali, nei legumi e nelle patate, che ha fornito calorie a sufficienza per far funzionare ed evolvere il cervello umano, il più grande ed esigente in termini di energia se confrontato con quello degli altri primati.

Carne, latte e uova

La Fao prevede un aumento della domanda delle proteine di origine animale del 60% entro il 2050. È noto che l’impatto ambientale di 1 kg di carne sia tra i più alti rispetto a tutti gli altri cibi.

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La Fao ha calcolato che gli animali allevati a scopo alimentare rappresentano circa un quinto di tutti gli animali esistenti sulla Terra, per farli pascolare si utilizzano un quarto delle terre emerse e per produrre mangimi un terzo di tutta la superficie coltivabile, oltre a rappresentare uno dei settori a maggior consumo di acqua.

Per approfondire l’argomento, consiglio la visione di Cowspiracy, che spiega in maniera scientifica l’enorme impatto ambientale provocato dagli allevamenti. Ecco il Trailer (qui il link ad una parte del film e qui il link al sito ufficiale):

Alimenti non ecostenibili: ad alto impatto ambientale

Se questi dati si mettono però in relazione con le quantità di consumo suggerite dalle linee guida per una sana alimentazione, si osserva che il carico ambientale associato alle varie tipologie di alimenti è sostanzialmente equivalente. In pratica se si mangia carne nelle giuste quantità, per esempio secondo le indicazioni di consumo suggerite dal modello alimentare mediterraneo, l’impatto medio settimanale della carne risulta allineato a quello di altri alimenti, come quello dei cereali. Se si mangia poco di un alimento inquinante, si inquina poco.

L’idea quindi non è quella di evitare del tutto carne e prodotti lattiero-caseari, ma di consumarne dosi decisamente più basse con ottime ripercussioni sia sulla salute umana che su quella del nostro pianeta.

Se vogliamo approfondire ulteriormente la questione dobbiamo tener conto che non tutte le carni hanno lo stesso impatto sull’ambiente. I parametri utilizzati dagli scienziati per valutarlo sono le emissioni di gas serra – gas altamente inquinanti che contribuiscono maggiormente al surriscaldamento del pianeta – per ogni chilo di prodotto.

I maggiori produttori di gas serra sono gli erbivori che producono metano, come i bovini o gli ovini: una sola mucca è capace di produrre ogni giorno circa 300 l di metano.

Al contrario degli altri mammiferi, i bovini sono in grado di vivere di soli vegetali, grazie all’azione di migliaia di miliardi di microbi che vivono nel loro stomaco. Questi microbi rompono la cellulosa dei vegetali, la trasformano in molecole più piccole e nutrienti, e per far questo producono metano.

I dati riportati in letteratura indicano che:

  • le carni bovine sono gli alimenti a maggior intensità di emissione di gas serra, con una media di circa 29 kg di CO2-equivalenti per kg di prodotto, seguite dalla carne dei
  • i piccoli ruminanti, gli ovini, con una media di quasi 26 kg di CO2-eq per kg di prodotto 
  • la carne suina, con una media di 8,2 kg di CO2-eq per kg di prodotto  
  • la carne di pollo, con 4,7 kg di CO2-eq per kg di prodotto.

Il formaggio, considerando la lunga lavorazione a cui è sottoposto il latte, ha un impatto simile a quello della carne suina, mentre le uova hanno una maggiore efficienza energetica (3 kg di CO2-eq per kg di prodotto).

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In pratica, se vogliamo rispettare l’ambiente, mantenendoci all’interno delle porzioni di prodotti animali raccomandate settimanalmente, dovremmo prediligere il consumo di carne suina e di pollo, ricordando inoltre che latte e uova sono tra gli alimenti di origine animale a minor impatto ambientale, ma ancora lontani da prodotti come i legumi che ne hanno uno molto basso, stimato tra i 0,5 e 1 kg di CO2-eq per kg di prodotto.

L’allevamento industriale, necessario per la grande richiesta di carne del nostro paese, confina un gran numero di animali quasi sempre in spazi chiusi, non lasciandoli liberi di pascolare su terreni aperti, come avviene negli allevamenti allo stato brado.

Le produzioni in quest’ultimo caso sono minori, ma il benessere animale certamente maggiore. Ciò che a volte succede infatti negli allevamenti intensivi è che la convivenza in spazi ridotti di un gran numero di capi crei condizioni insalubri, tali da rendere necessario l’uso di antibiotici, che stanno contribuendo allo sviluppo di batteri resistenti.

Pesce

Rispetto alla carne bovina, il pesce ha un impatto sull’ambiente decisamente inferiore: quello di allevamento si aggira intorno a 3 kg di CO2-eq per kg di prodotto, i mitili raggiungono per esempio valori ancora più bassi, paragonabili alle percentuali raggiunte da alimenti di origine vegetale.

Consumare pesce è una scelta intelligente visti i salutari benefici che ne derivano, ma è bene fare alcune precisazioni: le sue carni possono essere contaminate da metalli pesanti come il mercurio e i Pcb, che potrebbero avere ricadute negative sulla salute. In generale i pesci più piccoli tendono a essere più abbondanti e migliori nutrizionalmente perché contengono meno mercurio e sono una preziosa fonte di grassi omega-3.

Inoltre alcune specie, a causa dell’alta richiesta del mercato vengono sfruttate più di altre, mettendone a rischio la disponibilità, o sono catturate con modalità che possono causare danni permanenti ai nostri mari.

Delle ottime opzioni sono i calamari, gli sgombri, le sardine, le alici e le cozze. Alcuni pesci di cattura come il salmone e l’halibut, se pescati in modo sostenibile, possono essere scelte eccellenti sia per la nostra salute che per il rispetto dell’ambiente.

Per il pesce, a meno di non ricorrere all’acquisto di esemplari allevati, il discorso legato alla territorialità del prodotto è piuttosto complicato: è opportuno tenere conto che i pesci si muovono, percorrendo distanze anche molto lunghe. Il consumo di esemplari provenienti dal “mare vicino”, dà comunque maggiori garanzie di salubrità. Il Mediterraneo è infatti un mare poco inquinato.

Mentre l’incremento dell’utilizzo dei prodotti della pesca è auspicato per i molti benefici che apporta alla nostra salute, non si possono ignorare i segnali di allarme legati alla riduzione delle risorse del mare. Attualmente quasi la metà di tutto il pesce consumato nel mondo proviene dagli allevamenti ittici e l’acquacoltura sta sempre più sostituendosi alla pesca. Molti metodi di acquacoltura sono sicuri ed ecosostenibili, tuttavia, alcuni pongono rischi per la salute pubblica e impoveriscono le risorse naturali.

Il pesce d’allevamento non è infatti senza rischi: contiene spesso gli stessi contaminanti che si trovano nel pescato, come i metalli pesanti, i mangimi sono talvolta addizionati con antibiotici per scongiurare le malattie o trattati con sostanze chimiche, che rischiano di finire nella rete idrica. L’acquacoltura inoltre contribuisce ulteriormente all’impoverimento delle risorse ittiche, in quanto gli esemplari selvatici sono spesso utilizzati per l’alimentazione del pesce di allevamento.

Le idrocolture intensive nelle acque costiere possono inquinare intere baie a causa delle feci; l’accumulo dei reflui dagli impianti può provocare un’eccessiva concimazione, se contiene nutrienti in eccesso o residui di farmaci veterinari.

Il post è molto lungo è vero, ma vi chiedo di condividere queste informazioni con i vostri amici attraverso i social!

Buona spesa(Ecosostenibile!)a tutti 😉

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